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Informationen zum Dokument  BGer 6S.57/2005  Materielle Begründung
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BGer 6S.57/2005 vom 20.07.2005
 
Tribunale federale
 
{T 0/2}
 
6S.57/2005 /viz
 
Sentenza del 20 luglio 2005
 
Corte di cassazione penale
 
Composizione
 
Giudici federali Schneider, presidente,
 
Kolly, Zünd,
 
cancelliere Garré.
 
Parti
 
A.________,
 
ricorrente, patrocinato dall'avv. dott. Elio Brunetti,
 
contro
 
Ministero pubblico del Cantone Ticino,
 
Ufficio di Bellinzona, viale S. Franscini 3,
 
6501 Bellinzona.
 
Oggetto
 
Art. 63 e 68 cpv. 2 CP,
 
ricorso per cassazione contro la sentenza emanata il 19 gennaio 2005 dalla Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
 
Fatti:
 
A.
 
Con sentenza del 17 dicembre 2001 il Tribunale ordinario di Torino riconosceva A.________ autore colpevole di truffa continuata, per cui lo condannava in contumacia ad un anno e quattro mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale subordinato alla restituzione di 303'000'000 lire alle parti civili, e ad una multa di 1'200'000 lire, avendo in sostanza accertato che lo stesso, qualificatosi come esperto di finanza internazionale e amministratore della società X.________, aveva prospettato al prof. B.________ l'accesso a importanti e remunerativi investimenti sul mercato americano dei titoli di Stato, nell'ordine di centinaia di milioni di dollari, così inducendolo, nel 1995, ad anticipargli complessive 303'000'000 lire (appartenenti in parte alla moglie C.________). A garanzia della restituzione, che avrebbe dovuto avvenire al momento in cui fosse stato attivato il programma di investimento (mai avviato), A.________ aveva consegnato al prof. B.________ determinati assegni, rivelatisi non coperti.
 
Con sentenza del 15 luglio 2002 la Corte di appello di Torino riduceva poi la pena a un anno e due mesi di reclusione, concedendo al reo le attenuanti generiche. Il ricorso per cassazione, introdotto dal condannato contro quest'ultimo giudizio, veniva dichiarato inammissibile il 5 maggio 2003.
 
B.
 
In data 2 luglio 2001 D.________, cittadino italiano residente a Milano, presentava al Ministero pubblico del Cantone Ticino una denuncia nei confronti di A.________ per appropriazione indebita, truffa e amministrazione infedele relativa ad un importo di 650'000'000 lire, sostenendo in sintesi di essere stato indotto dal denunciato, nel febbraio del 2000, ad aprire un conto cifrato presso la banca Y.________ di Lugano in modo che questi, in forza di una procura sottoscritta a suo favore, trasferisse la citata somma su un proprio conto cifrato aperto presso il medesimo istituto, per poi effettuare un complesso quanto redditizio investimento internazionale e ritornare infine sul conto del mandante l'oggetto dell'investimento. Tutto ciò secondo accordi consegnati in uno scritto del 17 febbraio 2002, nel quale A.________ prometteva un rendimento netto annuo del 10% grazie a "opportunità di investimento che si potrebbero cogliere beneficiando dei servizi dei nostri partners istituzionali". Sennonché, stando al denunciante, A.________ aveva in seguito reiteratamente rifiutato la restituzione del denaro, adducendo pretesti vari e sottraendosi anche a un appuntamento concordato in vista del rimborso.
 
C.
 
Fermato il 28 settembre 2001 durante una sua visita alla banca Y.________, A.________ veniva subito sentito dal Procuratore pubblico, al quale forniva spiegazioni poco convincenti, inducendo il magistrato a disporre subito il suo arresto. Nel corso della detenzione preventiva, durata fino al 2 novembre 2001, A.________ finiva per ammettere di non avere investito il denaro del denunciante, ma di averlo utilizzato per fini personali. Grazie alla documentazione bancaria acquisita, gli inquirenti sono potuti risalire ad un altro cliente di A.________, l'avv. F.E.________ di Milano (nel frattempo deceduto). A quest'ultimo A.________ aveva prospettato la possibilità di far rendere meglio il suo denaro. Sentita la vedova dell'avv. F.E.________ e raccolta la documentazione bancaria, è emerso che il 15 febbraio 1999 i coniugi E.________ avevano ordinato il trasferimento di 1'247'373'384 lire dalla banca Z.________ a Zurigo a un nuovo conto cifrato aperto presso la banca Y.________. Tale conto era poi stato costituito in pegno in favore di A.________, il quale, grazie a contratti analoghi a quelli sottoposti a D.________, nel 1999 si era fatto consegnare dall'avv. F.E.________, a varie riprese, altre 1'438'000'000 lire. Anche in questo caso A.________ ammetteva di avere usato il denaro a proprio vantaggio e di non avere mai fatto gli investimenti promessi.
 
D.
 
Il 17 novembre 2004 il presidente della Corte delle assise correzionali di Lugano riconosceva A.________ autore colpevole di ripetuta appropriazione indebita per avere impiegato a profitto suo e di terzi, come gestore patrimoniale esterno, somme di denaro a lui affidate in quattro occasioni per complessivi € 1'010'900.42; fatti avvenuti a Lugano tra agosto 1999 e marzo 2000. In applicazione della pena egli lo condannava a dieci mesi di detenzione da espiare (computato il carcere preventivo sofferto), a valere come pena aggiuntiva a quella di quattordici mesi di reclusione inflitta il 15 luglio 2002 dalla Corte di appello di Torino, e all'espulsione (effettiva) dalla Svizzera per tre anni, come pure alla rifusione a D.________ di € 360'696.98 con accessori e a G.E.________ di € 650'203.44 con accessori.
 
E.
 
Il 19 gennaio 2005 la Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CCRP) respingeva nella misura della sua ammissibilità il ricorso per cassazione interposto da A.________ contro la sentenza di prima istanza.
 
F.
 
A.________ insorge con ricorso per cassazione al Tribunale federale contro la sentenza dell'ultima istanza cantonale, di cui domanda l'annullamento in particolare per quanto riguarda la commisurazione della pena. Chiede inoltre di essere posto al beneficio dell'assistenza giudiziaria.
 
G.
 
La CCRP rinuncia a presentare osservazioni al ricorso. Non sono state chieste altre osservazioni allo stesso.
 
H.
 
Mediante decisione incidentale del 18 maggio 2005 la Corte di cassazione penale del Tribunale federale ha respinto la domanda di assistenza giudiziaria, poiché palesemente carente di elementi probatori atti a sostanziarla.
 
Diritto:
 
1.
 
Tempestivamente proposto contro una sentenza di ultima istanza cantonale per violazione del diritto federale, il ricorso è ammissibile in base agli art. 268 n. 1, 269 cpv. 1 e 270 lett. a PP. La Corte di cassazione del Tribunale federale non è vincolata dai motivi fatti valere dalle parti (art. 277bis cpv. 2 PP).
 
2.
 
A mente del ricorrente la CCRP non ha considerato, nell'ambito della commisurazione della pena, le condizioni personali del reo e, in particolare, l'assunzione di responsabilità, l'ampia confessione, l'atteggiamento collaborativo sia in fase istruttoria che al dibattimento, l'incensuratezza, l'età avanzata ed il parziale risarcimento del danno cagionato, comminandogli di conseguenza una pena arbitrariamente severa, lesiva del principio di proporzionalità e urtante sotto il profilo della parità di trattamento. Viene inoltre censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante specifica del sincero pentimento. Nel complesso l'autorità cantonale avrebbe dovuto emanare una pena complessiva non superiore alla soglia massima per concedere il beneficio della sospensione condizionale, di cui egli postula altresì l'applicazione.
 
3.
 
3.1 In base all'art. 63 CP il giudice commisura la pena essenzialmente in funzione della colpevolezza del reo. Tale disposizione non elenca in modo dettagliato ed esauriente gli elementi pertinenti per la commisurazione della stessa. Essi sono tuttavia oggetto di una consolidata giurisprudenza, da ultimo illustrata in DTF 129 IV 6 consid. 6.1, alla quale si rinvia. In questa sede è sufficiente ribadire come il giudice di merito, più vicino ai fatti, fruisca di un'ampia autonomia. Il Tribunale federale interviene solo quando egli cade nell'eccesso o nell'abuso del suo potere di apprezzamento, ossia laddove la pena fuoriesca dal quadro edittale, sia valutata in base a elementi estranei all'art. 63 CP o appaia eccessivamente severa o clemente.
 
3.2 Giusta l'art. 68 n. 1 CP quando per uno o più atti un delinquente incorre in più pene privative della libertà personale, il giudice lo condanna alla pena prevista per il reato più grave aumentandola in misura adeguata. L'aumento non può tuttavia essere superiore alla metà della pena massima comminata. Il giudice è in ogni modo vincolato dal massimo legale della specie di pena.
 
Se il giudice deve giudicare di un reato punito con pena privativa della libertà personale, che il colpevole ha commesso prima di essere stato condannato ad una pena privativa della libertà personale per altro fatto, il giudice determina la pena in modo che il colpevole non sia punito più gravemente di quanto sarebbe stato se i diversi reati fossero stati compresi in un unico giudizio (art. 68 n. 2 CP). Quest'ultima disposizione trova applicazione anche nel caso in cui la prima pena sia stata irrogata da un tribunale straniero, a condizione che la relativa sentenza sia passata in giudicato (DTF 127 IV 106 consid. 2c; 109 IV 87 consid. 2a).
 
3.3 Nel caso concreto il ricorrente si è visto dapprima infliggere, per i reati commessi in Italia nel 1995, una pena di quattordici mesi di reclusione da parte del Tribunale di appello di Torino, con sentenza 15 luglio 2002 cresciuta in giudicato. I fatti oggetto del presente procedimento sono stati commessi a Lugano tra agosto 1999 e marzo 2000, ossia anteriormente alla condanna italiana. In base all'art. 68 n. 2 CP entra dunque in linea di conto una pena addizionale (concorso reale retrospettivo; v. DTF 129 IV 113 consid. 1.1 e rinvii). Tale pena è stata fissata dall'autorità cantonale a dieci mesi di detenzione. Ne deriva quindi, per l'insieme di entrambi i procedimenti, una pena complessiva di ventiquattro mesi di privazione della libertà personale. Dato che questa pena complessiva supera la soglia di diciotto mesi, di cui all'art. 41 n. 1 cpv. 1 CP, i giudici cantonali non hanno concesso al condannato il beneficio della sospensione condizionale, nonostante che essa sia stata invece concessa per la prima pena. Tale operato è corretto e conforme alla costante giurisprudenza del Tribunale federale (DTF 109 IV 68; 94 IV 49; 80 IV 10; 76 IV 74), anche se nel caso concreto porta di fatto all'applicazione di una sorta di condizionale parziale, istituto non ancora vigente nel diritto svizzero, ma che verrà introdotto con la riforma della parte generale del CP già varata dal parlamento, la cui entrata in vigore non è stata ancora fissata (v. FF 2002 pag. 7362, futuro art. 43 CP; v. a questo proposito Roland M. Schneider, Commentario basilese, n. 352-354 ad art. 41). Parte della dottrina si è peraltro posta in questo ambito la questione di sapere se a fronte di condanne di un altro Stato debba comunque valere la soglia di diciotto mesi giusta l'art. 41 n. 1 cpv. 1 CP o non piuttosto l'eventuale soglia prevista dal diritto straniero. Su questa problematica non esiste finora giurisprudenza del Tribunale federale. Dato che nel caso in esame il diritto italiano prevede una soglia di due anni (art. 163 Codice penale italiano; v. pure Alberto Crespi/ Federico Stella/ Giuseppe Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, Padova 2003, pag. 613-617), la questione va qui affrontata, poiché la pena complessiva concretamente irrogata non supera detto limite. Sennonché in questo ambito la legge penale svizzera non prevede deroghe al principio della territorialità, pur in condizioni di lex mitior: in base all'art. 3 n. 1 CP il Codice stesso si applica a chiunque commette un crimine o un delitto nella Svizzera. Nella fattispecie pertanto la legge non dà spazio a possibili eterointegrazioni mediante diritto straniero, per cui i tribunali svizzeri sono vincolati all'applicazione del Codice penale svizzero (così anche Schneider, op. cit., n. 151). Negando la concessione della condizionale l'autorità precedente non ha dunque violato il diritto federale.
 
3.4 Nel motivare l'entità della pena addizionale i giudici cantonali hanno dapprima sottolineato la gravità materiale dei reati commessi dal ricorrente, rammentando come egli si sia appropriato indebitamente di circa un milione di euro, non senza avere già anteriormente commesso una truffa grazie alla quale si era fatto consegnare in fasi successive una somma totale di circa 300 milioni di lire. La sua attività delittuosa si è inoltre protratta su un arco di cinque anni ed era finalizzata al mero profitto personale. Infine egli ha gravemente sfruttato il rapporto di fiducia che aveva instaurato con le sue vittime. A suo favore sono stati d'altro canto considerati la sostanziale incensuratezza, pur macchiata da un precedente risalente al 1983 per emissione di assegni a vuoto, il corretto comportamento processuale, pur senza confessione immediata, e la disponibilità a liberare in favore delle parti civili fr. 10'000.-- dalla cauzione prestata dal figlio. In maniera neutrale è stato invece valutato il risarcimento di 303 milioni di lire per i reati del 1995, posto che questa era una condizione impostagli dalla sentenza italiana per potere beneficiare della sospensione condizionale. Anche il fatto che fossero trascorsi nove anni dai reati oggetto del procedimento in Italia, non è stato ritenuto elemento di portata particolarmente significativa, visto che egli ha in seguito ancora pesantemente delinquito. In misura limitata sono stati infine considerati a suo favore il tempo trascorso dai fatti oggetto del presente procedimento, ovvero cinque anni, come pure l'assenza di reati dalla concessione della libertà provvisoria (sentenza impugnata pag. 5 e segg.).
 
3.5 Le considerazioni dell'autorità cantonale meritano tutela. Contrariamente a quanto sostenuto nel gravame essa ha tenuto conto in maniera equilibrata di tutti gli aspetti rilevanti per una corretta commisurazione della pena ai sensi dell'art. 63 CP. La pena inflitta non risulta eccessivamente severa, né emergono ragioni per attenuare la pena in applicazione dell'art. 64 cpv. 7 CP visto che il risarcimento per i reati del 1995 più che essere espressione di sincero pentimento costituisce formale adempimento di una condizione imposta dai giudici italiani per ottenere il beneficio della condizionale alla precedente pena detentiva. Non giovano al ricorrente nemmeno i puntuali richiami comparativi alla prassi ticinese in casi ritenuti analoghi (ricorso pag. 12 e segg.). A questo proposito va premesso che una certa disuguaglianza nell'ambito della commisurazione della pena si spiega normalmente con il principio dell'individualizzazione, voluto dal legislatore (DTF 124 IV 44 consid. 2c pag. 47). Tale disuguaglianza non è di per sé sufficiente per ammettere la sussistenza di un abuso del potere d'apprezzamento (DTF 123 IV 150 consid. 2a pag. 153). Il Tribunale federale non deve vegliare a che le singole pene corrispondano tra loro scrupolosamente, ma deve bensì unicamente badare a che il diritto federale sia applicato in modo corretto, segnatamente che non sia stato violato quanto predisposto all'art. 63 CP (cfr. Hans Wiprächtiger, Commentario basilese, n. 129 all'art. 63 CP, e rinvii giurisprudenziali). In questo senso, come già del resto rilevato da parte della CCRP (sentenza impugnata pag. 12), i giudici di prime cure non hanno certo manifestato particolare indulgenza nei confronti del ricorrente, ma non per questo hanno ecceduto o abusato nell'esercizio del loro potere di apprezzamento. Né si può ritenere, come invece addotto nel gravame, che l'autorità cantonale abbia trascurato il principio cardine della risocializzazione. L'opinione sostenuta da una parte della dottrina, secondo la quale in determinate circostanze a scopi di risocializzazione sarebbe possibile irrogare una pena inferiore a quella corrispondente al grado di colpevolezza del reo (v. Wiprächtiger, op. cit., n. 43 all'art. 63 CP, e rinvii dottrinali) è certo stata finora lasciata indecisa dal Tribunale federale (sentenza 6S.90/2004 del 3 maggio 2004, consid. 1.1.3), ma non necessita qui di ulteriori approfondimenti, nella misura in cui il ricorrente non allega particolari motivi per un contenimento della pena in ossequio al principio della risocializzazione, limitandosi a vaghi e non sostanziati accenni alle (ovvie) difficoltà professionali che deriverebbero dal fatto di dovere scontare una pena detentiva. Sarà compito del ricorrente, eventualmente con l'aiuto del suo difensore, affrontare con la competente autorità di esecuzione delle pene le questioni pratiche poste dal regime di privazione di libertà, utilizzando gli strumenti che la legge mette a disposizione proprio per assicurare il qui invocato principio della risocializzazione (v. a questo proposito Andrea Baechtold, Strafvollzug, Berna 2005, pag. 31-36).
 
4.
 
Da tutto quanto esposto discende che la CCRP non ha violato il diritto federale, per cui il gravame va respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza (art. 278 cpv. 1 PP).
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
 
1.
 
Il ricorso è respinto.
 
2.
 
La tassa di giustizia di fr. 2'000.-- è posta a carico del ricorrente.
 
3.
 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico e alla Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
 
Losanna, 20 luglio 2005
 
In nome della Corte di cassazione penale
 
del Tribunale federale svizzero
 
Il presidente: Il cancelliere:
 
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