VerfassungsgeschichteVerfassungsvergleichVerfassungsrechtRechtsphilosophie
UebersichtWho-is-WhoBundesgerichtBundesverfassungsgerichtVolltextsuche...

Informationen zum Dokument  BGer 1A_48/2007  Materielle Begründung
Druckversion | Cache | Rtf-Version

Bearbeitung, zuletzt am 16.03.2020, durch: DFR-Server (automatisch)  
 
BGer 1A_48/2007 vom 22.04.2008
 
Tribunale federale
 
{T 0/2}
 
1A.48/2007 /biz
 
Sentenza del 22 aprile 2008
 
I Corte di diritto pubblico
 
Composizione
 
Giudici federali Féraud, presidente,
 
Fonjallaz, Eusebio,
 
cancelliere Gadoni.
 
Parti
 
A.________,
 
ricorrente,
 
patrocinato dall'avv. John Rossi,
 
contro
 
Segreteria di Stato dell'economia,
 
Effingerstrasse 31, 3003 Berna,
 
Dipartimento federale dell'economia,
 
3003 Berna.
 
Oggetto
 
Ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti
 
delle persone e delle organizzazioni legate a Osama bin Laden, al gruppo "Al-Qaïda" o ai Taliban,
 
ricorso di diritto amministrativo contro la decisione emanata il 15 giugno 2006 dal Dipartimento federale dell'economia.
 
Fatti:
 
A.
 
Con la risoluzione 1267 (1999) del 15 ottobre 1999 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato delle sanzioni contro i Taliban, costituendo nel contempo un Comitato delle sanzioni, in cui sono rappresentati tutti i membri del Consiglio di sicurezza, incaricato di sorvegliare l'attuazione dei provvedimenti. Con risoluzione 1333 (2000) del 19 dicembre 2000 il Consiglio di sicurezza ha esteso le sanzioni a Osama bin Laden e al gruppo "Al-Qaïda", chiedendo al Comitato delle sanzioni di tenere, sulla base delle informazioni fornite dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, una lista aggiornata delle persone e degli enti associati ad Osama bin Laden e all'organizzazione "Al-Qaïda", soggetti alle sanzioni.
 
B.
 
Il 2 ottobre 2000 il Consiglio federale ha emanato l'Ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti delle persone e delle organizzazioni legate a Osama bin Laden, al gruppo "Al-Qaïda" o ai Taliban (RS 946.203; ordinanza sui Taliban). Questa normativa prevede in particolare che gli averi e le risorse economiche appartenenti alle persone fisiche e giuridiche, ai gruppi o alle organizzazioni menzionati nell'allegato 2 o controllati da questi ultimi siano bloccati e che sia vietato trasferire loro fondi o mettere, direttamente o indirettamente, fondi o risorse economiche a loro disposizione (art. 3 cpv. 1 e 2). L'entrata in Svizzera e il transito attraverso la Svizzera sono vietati alle persone fisiche menzionate nell'allegato 2 (art. 4a cpv. 1).
 
C.
 
Il 9 novembre 2001 A.________ è stato iscritto nella lista del Comitato delle sanzioni e il 30 novembre 2001 l'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban è stato completato con l'inserimento del suo nome.
 
D.
 
Con istanza del 7 dicembre 2005 l'interessato ha chiesto al Consiglio federale di stralciare il suo nome dall'allegato 2 della citata ordinanza. Ha essenzialmente addotto che le indagini di polizia giudiziaria per il finanziamento del terrorismo, avviate nei suoi confronti il 24 ottobre 2001, erano state sospese dal Ministero pubblico della Confederazione con decisione del 31 maggio 2005. Con decisione del 18 gennaio 2006 la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) ha respinto la richiesta, adducendo sostanzialmente che la Svizzera non può radiare nominativi dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban fintanto che gli stessi figurano sulla lista emanata dal Comitato delle sanzioni del Consiglio di sicurezza.
 
E.
 
Contro la decisione del SECO, A.________ ha presentato un ricorso amministrativo al Dipartimento federale dell'economia (DFE). L'autorità federale ha respinto con decisione del 15 giugno 2006 il gravame, rilevando essenzialmente che uno stralcio dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban può entrare in considerazione solo dopo la radiazione del ricorrente dalla lista del Comitato delle sanzioni: al riguardo è prevista una cosiddetta procedura di delisting a livello dell'ONU, che può essere avviata dallo Stato di nazionalità o di domicilio dell'interessato. Poiché la Svizzera non costituisce né lo Stato di nazionalità né quello di domicilio del ricorrente, la competenza delle autorità elvetiche per l'avvio di una simile procedura non sarebbe data.
 
F.
 
Con ricorso del 13 luglio 2006, A.________ ha impugnato dinanzi al Consiglio federale la decisione del DFE, chiedendone l'annullamento. Ha altresì postulato di annullare la decisione del 18 gennaio 2006 del SECO e di ordinare a quest'ultima autorità la cancellazione del suo nominativo dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban.
 
G.
 
Dopo uno scambio di opinioni con il Tribunale federale, eseguito nell'ambito della causa connessa 1A.45/2007, oggetto della sentenza del 14 novembre 2007 di questa Corte (pubblicata in: DTF 133 II 450 e EuGRZ 2008, pag. 66 segg.), il Consiglio federale, con decisione del 30 maggio 2007, ha dichiarato irricevibile il ricorso e lo ha trasmesso al Tribunale federale. Il Consiglio federale ha ritenuto che, per le limitazioni dirette e di carattere espropriativo provocate dall'ordinanza sui Taliban per il ricorrente, la richiesta di stralcio dall'allegato 2 dell'ordinanza concerne diritti di carattere civile ai sensi dell'art. 6 n. 1 CEDU. L'eccezione prevista dall'art. 100 cpv. 1 lett. a OG non poteva entrare in considerazione, dovendosi invece trasmettere la causa al Tribunale federale per garantire l'esame da parte di un tribunale indipendente ed imparziale.
 
H.
 
Nella risposta dell'11 luglio 2007, il DFE ha chiesto la reiezione del gravame, segnalando inoltre che un cambiamento è nel frattempo intervenuto riguardo alla procedura di delisting a livello ONU: in base alla risoluzione 1730 (2006) del Consiglio di sicurezza, le persone e gli enti inseriti nella lista possono ora inoltrare autonomamente una richiesta di stralcio senza che sia necessario il sostegno dello Stato di residenza o di nazionalità. Non risulta che l'interessato abbia fatto capo a questa possibilità.
 
I.
 
Il ricorrente si è espresso il 10 agosto 2007 sulla risposta del DFE, riconfermandosi sostanzialmente nel suo ricorso.
 
Diritto:
 
1.
 
Oggetto dell'impugnativa è la decisione su ricorso del DFE, emanata il 15 giugno 2006, prima quindi dell'entrata in vigore, il 1° gennaio 2007, della legge sul Tribunale federale, del 17 giugno 2005 (LTF; RS 173.110). Alla presente procedura ricorsuale rimane quindi applicabile la legge federale sull'organizzazione giudiziaria, del 16 dicembre 1943 (OG) e la legge federale sulla procedura amministrativa, del 20 dicembre 1968, nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2006 (vPA; cfr. art. 132 cpv. 1 LTF).
 
2.
 
Il Tribunale federale giudica in ultima istanza i ricorsi di diritto amministrativo contro le decisioni ai sensi dell'art. 5 PA, nella misura in cui non sia dato un motivo di esclusione secondo l'art. 99 segg. OG (cfr. art. 97 OG).
 
2.1 Nella giurisdizione amministrativa sono di principio oggetto di impugnativa le decisioni. Le normative giuridiche, quali sono le ordinanze del Consiglio federale, non possono di massima essere impugnate in modo indipendente, potendo unicamente essere esaminate a titolo pregiudiziale nel caso di un'applicazione concreta (DTF 131 II 735 consid. 4.1, 13 consid. 6.1 e riferimenti).
 
Postulando la cancellazione dall'allegato dell'ordinanza sui Taliban, il ricorrente chiede, sotto il profilo formale, la modifica dell'ordinanza stessa. Nondimeno, il SECO ha emanato una "decisione" con cui ha respinto la richiesta, e il DFE è entrato nel merito del gravame introdotto contro la stessa, respingendolo. Con l'iscrizione nel citato allegato 2, il ricorrente è soggetto alle sanzioni dell'ordinanza sui Taliban ed è quindi toccato direttamente e specificamente in diritti fondamentali. Ciò implica la necessità dell'emanazione di una decisione allo scopo di garantirgli la possibilità di una protezione giuridica. In questa misura, il ricorso di diritto amministrativo contro la decisione su ricorso del DFE è quindi ammissibile (DTF 133 II 450 consid. 2.1).
 
2.2 Il ricorso di diritto amministrativo è tuttavia escluso contro decisioni in materia di sicurezza interna o esterna della Confederazione, neutralità, protezione diplomatica, cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario e altri affari esteri (art. 100 cpv. 1 lett. a OG). La decisione del DFE concerne provvedimenti volti ad attuare delle sanzioni internazionali e rientra quindi nelle decisioni nel campo degli affari esteri, il cui esame spetta di principio al Consiglio federale (art. 72 lett. a e 74 vPA).
 
L'elenco delle eccezioni giusta l'art. 99 segg. OG non trova tuttavia applicazione quando il ricorso concerne pretese per le quali deve essere garantita una protezione giuridica giudiziaria secondo l'art. 6 n. 1 CEDU (DTF 125 II 417 consid. 4c-e, 130 I 388 consid. 5.2, 132 I 229 consid. 6.5). Questa giurisprudenza, su cui è fondata anche la decisione di trasmissione del Consiglio federale, è stata esplicitamente ripresa dal legislatore agli art. 83 lett. a LTF, 72 lett. a PA e 32 cpv. 1 lett. a della legge sul Tribunale amministrativo federale, del 17 giugno 2005 (LTAF; RS 173.32).
 
L'inserimento del ricorrente nell'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban comporta il blocco dei suoi averi e delle sue risorse economiche (art. 3 cpv. 1). Questa circostanza, come pure il divieto di mettergli a disposizione fondi (art. 3 cpv. 2), comporta l'impossibilità per lui di svolgere un'attività lucrativa in Svizzera. L'ordinanza lo colpisce pertanto direttamente nei suoi diritti patrimoniali e nella sua attività lucrativa. Al riguardo, non si tratta di semplici misure cautelari volte a tutelare una decisione finale contro la quale sarebbe data una protezione giudiziaria, ma di provvedimenti autonomi, che durano da oltre 6 anni e la cui cessazione non appare d'acchito ravvisabile. In tali circostanze, il Consiglio federale ha ammesso a ragione l'applicabilità di principio dell'art. 6 n. 1 CEDU (DTF 133 II 450 consid. 2.2).
 
2.3 Alla luce di quanto esposto, la competenza del Tribunale federale è giustificata e occorre quindi entrare nel merito del ricorso di diritto amministrativo.
 
Con questo rimedio si può far valere la violazione del diritto federale, compreso l'eccesso o l'abuso del potere di apprezzamento (art. 104 lett. a OG). Nel diritto federale rientrano pure i diritti costituzionali (DTF 126 III 431 consid. 3, 123 II 385 consid. 3) e il diritto internazionale pubblico direttamente applicabile (DTF 126 II 506 consid. 1b e rinvii), segnatamente le garanzie della CEDU (DTF 115 V 244 consid. 4b e rinvio). Il libero esame delle lesioni del diritto federale, che compete al Tribunale federale nell'ambito del ricorso di diritto amministrativo, non esime tuttavia il ricorrente dall'obbligo di presentare una compiuta, chiara e precisa motivazione con riferimento alle argomentazioni espresse dalla precedente istanza (sentenza 1A.161/2001 del 26 agosto 2002, consid. 5 e riferimenti, apparsa in: RDAT I-2003, n. 63, pag. 233 segg.). Chi propone un ricorso di diritto amministrativo è infatti tenuto, secondo l'art. 108 cpv. 2 OG, a esporre motivi e argomenti specifici (DTF 130 I 312 consid. 1.3.1, 127 II 238 consid. 7 pag. 256, 125 II 230 consid. 1c, 123 II 359 consid. 6b/bb). Nella misura in cui il ricorrente si limita ad accennare a una serie di diritti costituzionali ed a garanzie convenzionali senza confrontarsi con le argomentazioni contenute nell'atto impugnato, spiegando su quali punti violerebbero il diritto, il gravame è quindi inammissibile.
 
3.
 
Il ricorrente sostiene che la sua iscrizione nell'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban da parte delle autorità svizzere sarebbe autonoma, per cui anche la sua cancellazione potrebbe essere eseguita autonomamente, dopo che il procedimento penale svizzero ha permesso di escludere una sua relazione con Osama bin Laden, con "Al-Qaïda" o con i Taliban. Lamenta l'assenza di una base legale per mantenere il provvedimento e una violazione del suo diritto di essere sentito, rilevando che l'iscrizione sarebbe avvenuta quando la Svizzera non era ancora membro dell'ONU e prima dell'entrata in vigore della legge sugli embarghi (LEmb; RS 946.231), senza che gli sia stata data la possibilità di esprimersi. Accenna, al riguardo, alla violazione di diritti costituzionali quali il divieto di discriminazione, la libertà personale, la garanzia della proprietà e la libertà economica, richiamando altresì le garanzie della CEDU e del Patto ONU II (RS 0.103.2).
 
4.
 
L'ordinanza sui Taliban è stata emanata dal Consiglio federale il 2 ottobre 2000, quando la Svizzera in effetti non era ancora membro delle Nazioni Unite. Si trattava allora di un'esecuzione autonoma delle sanzioni stabilite dal Consiglio di sicurezza, fondata direttamente sull'art. 184 cpv. 3 Cost. (cfr. Messaggio del Consiglio federale del 20 dicembre 2000 concernente la legge sugli embarghi, FF 2001 pag. 1247 n. 1.2; Matthias-Charles Krafft/Daniel Thürer/Julie-Antoinette Stadelhofer, Switzerland, in: Vera Gowlland-Debbas, National Implementations of United Nations Sanctions: A Comparative Study, Leiden 2004, pag. 523 segg.). Anche l'inserimento del ricorrente nell'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban, il 30 novembre 2001, è avvenuto su tale base.
 
La situazione giuridica si è in seguito modificata sotto due aspetti. Da un canto è stata emanata la già citata legge federale del 22 marzo 2002 sull'applicazione di sanzioni internazionali (legge sugli embarghi, LEmb), quale legge quadro per l'applicazione delle sanzioni delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali: da allora, le relative ordinanze del Consiglio federale, compresa l'ordinanza sui Taliban, si fondano su questa legge (cfr. modifica del 30 ottobre 2002; RU 2002 pag. 3955). D'altro canto, il 10 settembre 2002 la Svizzera è divenuta membro delle Nazioni Unite.
 
Questa nuova situazione giuridica è determinante per esaminare la richiesta formulata dal ricorrente il 7 dicembre 2005 di cancellazione dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban. Occorre quindi esaminare se la Svizzera, quale Stato membro delle Nazioni Unite, sia vincolata alle decisioni sulle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza e dal suo Comitato delle sanzioni e, in caso affermativo, se ciò si opponga alla cancellazione del ricorrente dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban, oppure se alle Autorità elvetiche rimanga un margine di manovra (DTF 133 II 450 consid. 4).
 
5.
 
Secondo l'art. 25 dello Statuto delle Nazioni Unite, del 26 giugno 1945 (RS 0.120; in seguito: Statuto), gli Stati membri convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di sicurezza in conformità alle disposizioni dello Statuto. Tali decisioni (in quanto non siano pronunciate nella forma di raccomandazioni non vincolanti) sono pertanto vincolanti per gli Stati membri. Per quanto concerne le decisioni del Consiglio di sicurezza per il mantenimento e il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale prese in applicazione degli art. 41 e 42 dello Statuto, ciò risulta inoltre dall'art. 48 cpv. 2 dello Statuto.
 
5.1 Gli obblighi degli Stati membri derivanti dallo Statuto prevalgono non soltanto sul loro diritto interno, ma anche sugli obblighi previsti da altri accordi internazionali (cfr. art. 103 Statuto). Secondo la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, ciò vale per tutte le convenzioni bilaterali, regionali e multilaterali delle parti contraenti (cfr. decisione del 26 novembre 1984, attività militari e paramilitari nel e contro il Nicaragua, CIJ, Recueil 1984, pag. 392 segg., in particolare pag. 440, n. 107), indipendentemente dal fatto che siano stati conclusi prima o dopo lo Statuto (cfr. al riguardo la riserva dell'art. 30 cpv. 1 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati [CV; RS 0.111]; DTF 133 II 450 consid. 5.1).
 
5.2 Questa preminenza non è limitata allo Statuto, ma si estende anche agli obblighi derivanti da una risoluzione del Consiglio di sicurezza vincolante per gli Stati membri (cfr. decisione della Corte internazionale di giustizia del 14 aprile 1992, questioni di interpretazione e di applicazione della Convenzione di Montreal del 1971 sulla base dell'incidente aereo di Lockerbie, provvedimenti cautelari, CIJ, Recueil 1992, pag. 3 segg. e 114 segg., in particolare pag. 15 n. 39 e pag. 126 n. 42; cfr. DTF 133 II 450 consid. 5.2 con numerosi riferimenti dottrinali).
 
5.3 Anche il Consiglio di sicurezza è vincolato allo Statuto e deve agire in conformità ai suoi fini e principi (art. 24 cpv. 2 dello Statuto), nei quali rientra pure il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 1 cpv. 3 dello Statuto). Gli Stati membri non sono tuttavia abilitati a sottrarsi a un loro obbligo adducendo che una decisione (formalmente legale) del Consiglio di sicurezza non è materialmente conforme allo Statuto (DTF 133 II 450 consid. 5.3 con riferimento a Jost Delbrück, in: Bruno Simma/Hermann Mosler/Albrecht Randelzhofer/Christian Tomuschat/Rüdiger Wolfrum [editori], The Charter of the United Nations, A Commentary, 2a ed. 2002, n. 18 all'art. 25 dello Statuto). Ciò vale segnatamente per le misure adottate dal Consiglio di sicurezza sulla base del capitolo VII dello Statuto per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali (DTF 133 II 450 consid. 5.3 con riferimento a Rudolf Bernhardt, in: Simma/ Mosler/Randelzhofer/Tomuschat/Wolfrum, op. cit., n. 23 all'art. 103 dello Statuto, che nega l'effetto vincolante solo ai casi di manifesto abuso della competenza).
 
5.4 Sulla base di questi principi, il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha stabilito in due sentenze del 21 settembre 2005 di non essere abilitato ad esaminare incidentalmente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza riguardanti le sanzioni contro i Taliban e Al-Qaïda sotto il profilo della loro conformità con lo standard delle libertà fondamentali riconosciute nell'ordinamento comunitario. Lo stesso Tribunale ha rilevato di essere piuttosto tenuto ad interpretare ed applicare il diritto comunitario in modo conforme agli obblighi degli Stati membri derivanti dallo Statuto delle Nazioni Unite (causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation contro Consiglio e Commissione, Rec. 2005, II-3533, n. 231 segg., in particolare n. 276; causa T-315/01, Yassin Abdullah Kadi contro Consiglio e Commissione, Rec. 2005, II-3649, n. 176 segg., in particolare n. 225; cfr. inoltre l'ulteriore giurisprudenza citata in DTF 133 II 450 consid. 5.4 pag. 458).
 
Il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha ritenuto che l'effetto vincolante delle decisioni del Consiglio di sicurezza è limitato unicamente dallo ius cogens, vale a dire dalle norme imperative fondamentali che valgono per tutti i soggetti del diritto internazionale pubblico, inclusi gli organi dell'ONU, e alle quali non è possibile derogare. Tale istanza ha quindi esaminato le decisioni sulle sanzioni del Consiglio di sicurezza sotto questo ristretto profilo, giungendo alla conclusione che norme imperative del diritto internazionale pubblico non erano violate (sentenza nella causa Yusuf e Al Barakaat, citata, n. 277 segg.; sentenza nella causa Kadi, citata, n. 226 segg.). Contro questi giudizi sono invero pendenti gravami dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee e, nelle conclusioni, l'Avvocato generale ne postula l'accoglimento. Egli adduce tuttavia motivazioni specifiche fondate sul diritto comunitario, segnatamente sull'art. 307 del Trattato che istituisce la Comunità europea, che non impedirebbe l'esame del regolamento comunitario impugnato (cfr. EuGRZ 2008, pag. 103 segg.).
 
Anche la dottrina riconosce prevalentemente che lo ius cogens, segnatamente le norme imperative per la protezione universale dei diritti dell'uomo, determina il limite del carattere vincolante delle decisioni del Consiglio di sicurezza (cfr. Christian Tomuschat, Common Market Law Review [CMLRev.] 43/2006, pag. 545 segg. e riferimenti nota n. 19; Karl Doehring, Unlawful Resolutions of Security Council and their Legal Consequences, Max Planck Yearbook of United Nations Law 1/1997, pag. 91-109, in particolare pag. 102 segg.).
 
5.5 Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CorteEDU), gli Stati membri sono responsabili per l'attuazione degli obblighi imposti loro dalle organizzazioni internazionali nella misura in cui beneficiano di margine di apprezzamento. Se ciò non è il caso, la CorteEDU esamina solo se l'organizzazione in questione stessa preveda una protezione delle libertà fondamentali analoga alla CEDU e se nel caso specifico la protezione dei diritti convenzionali non sia stata esercita in maniera manifestamente insufficiente (cfr. sentenza nella causa Bosphorus contro Irlanda del 30 giugno 2005, n. 152 segg. e riferimenti, apparsa in: RUDH 2005, pag. 218 segg.).
 
Nel caso citato si trattava di diritto comunitario volto all'attuazione delle sanzioni ONU contro l'ex-Jugoslavia: la CorteEDU non ha tuttavia esaminato il carattere vincolante delle relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza e l'equivalenza della protezione delle libertà fondamentali all'interno delle Nazioni Unite (cfr. DTF 133 II 450 consid. 5.5 con riferimento a Daniel Frank, UNO-Sanktionen gegen Terrorismus und Europäische Menschenrechtskonvention, in: Festschrift Wildhaber 2007, pag. 237-260, in particolare pag. 248).
 
Nella dottrina viene sostenuta la tesi che agli Stati partecipanti alla CEDU debba essere imputata un'eventuale violazione di diritti convenzionali a seguito dell'attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU (cfr. DTF 133 II 450 consid. 5.5 con riferimento a Iain Cameron, The European Convention on Human Rights, Due Process and United Nations Security Council Counter-Terrorism Sanctions, rapporto del 6 febbraio 2006 al Consiglio d'Europa, pag. 3 e 23 segg.). Ciò, in ogni caso, quando, quali membri di detto Consiglio, non si sono adoperati contro la promulgazione di un sistema di sanzioni contrario alle garanzie convenzionali (cfr. Daniel Frank, loc. cit., pag. 254). Questi autori non sostengono tuttavia la semplice inosservanza delle decisioni sulle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza, ma deducono dalla CEDU un obbligo per gli Stati membri di vigilare affinché il regime delle sanzioni a livello dell'ONU sia conforme alle esigenze della Convenzione.
 
6.
 
Nel diritto interno il conflitto tra il diritto internazionale pubblico e quello costituzionale, incluse le libertà fondamentali, è esplicitamente disciplinato dall'art. 190 Cost., secondo cui le leggi federali e il diritto internazionale sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell'applicazione del diritto.
 
6.1 Questa disposizione vale per tutto il diritto internazionale pubblico vincolante per la Svizzera e comprende quindi, oltre ai trattati internazionali, anche il diritto consuetudinario internazionale, le norme generali del diritto internazionale pubblico, nonché le decisioni di Organizzazioni internazionali vincolanti per la Svizzera (cfr. Messaggio del Consiglio federale del 20 novembre 1996 concernente la revisione della Costituzione federale, FF 1997 pag. 403 seg.). Anche le decisioni sulle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza sono perciò vincolanti per il Tribunale federale e devono essere applicate.
 
6.2 L'art. 190 Cost. non contiene tuttavia regole riguardo a eventuali conflitti tra le diverse norme del diritto internazionale pubblico vincolanti per la Svizzera, quali sono in concreto, da una parte, le decisioni del Consiglio di sicurezza sulle sanzioni e, dall'altra, le garanzie della CEDU e del Patto ONU II. Se il conflitto non può essere risolto mediante l'interpretazione, occorre fondarsi sulla gerarchia delle norme del diritto internazionale pubblico, che prevede la preminenza degli obblighi derivanti dallo Statuto (art. 103 Statuto, art. 30 cpv. 1 CV). L'applicazione uniforme a livello internazionale delle sanzioni dell'ONU sarebbe infatti compromessa se i Tribunali di singoli Stati membri potessero annullare o modificare le sanzioni nei confronti di determinate persone per l'eventuale violazione di diritti fondamentali ai sensi della CEDU o del Patto ONU II, ampiamente corrispondenti ai diritti costituzionali delle Costituzioni nazionali (DTF 133 II 450 consid. 6.2).
 
7.
 
Il limite dell'obbligo di applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza è tuttavia costituito dalle norme imperative del diritto internazionale pubblico, la cui eventuale violazione deve essere esaminata nella fattispecie.
 
7.1 Nelle norme imperative del diritto internazionale pubblico rientrano quelle alle quali non è possibile derogare nemmeno con il consenso delle parti: i trattati internazionali in contrasto con le stesse sono pertanto nulli (cfr. art. 53, 64 e 71 CV). Al rispetto di tali norme gli Stati non possono rinunciare nemmeno nello Statuto delle Nazioni Unite (cfr. Doehring, op. cit., pag. 101 segg.). Gli indizi per il carattere assoluto di una norma sono segnatamente costituiti dalle clausole dei trattati che dichiarano insopprimibili determinati diritti o obblighi, per esempio vietando agli Stati contraenti la conclusione di accordi in senso contrario o la sospensione di determinate disposizioni contrattuali in caso di stato di necessità oppure escludendo la possibilità di riserve (cfr. DTF 133 II 450 consid. 7.1 con riferimento a Eva Kornicker, Ius cogens und Umweltvölkerrecht, tesi, Basilea 1997, pag. 58 segg.; Stefan Kadelbach, Zwingendes Völkerrecht, Berlin 1992, pag. 178 seg., Stefan Oeter, Ius cogens und der Schutz der Menschenrechte, in: Festschrift Wildhaber 2007, pag. 507 seg.).
 
7.2 Nelle sentenze succitate (cfr. consid. 5.4), il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha negato una violazione dello ius cogens. Da un lato ha rilevato che le garanzie invocate dal richiedente (garanzia della proprietà, diritti della difesa e diritto a una protezione giudiziaria effettiva) non avevano validità assoluta, in particolare riguardo alle misure adottate dal Consiglio di sicurezza secondo il capitolo VII dello Statuto; dall'altro lato, il Tribunale ha considerato che si tratta di misure di durata limitata, il cui mantenimento è esaminato dal Consiglio di sicurezza ogni 12-18 mesi, che in casi di rigore è prevista la possibilità di eccezioni e che inoltre è data una procedura formale per l'esame di ogni singolo caso da parte del Comitato delle sanzioni (cfr. DTF 133 II 450 consid. 7.2 con riferimento alla sentenza nella causa Yusuf e Al Barakaat, citata, n. 284 segg. e alla sentenza Kadi, citata, n. 233 segg.).
 
7.3 Nella causa connessa 1A.45/2007 oggetto della citata sentenza del 14 novembre 2007 (DTF 133 II 450 segg.), il Tribunale federale ha condiviso queste considerazioni. Ha in proposito rilevato che nelle norme imperative del diritto internazionale pubblico rientrano generalmente i diritti dell'uomo elementari, quali il diritto alla vita, la protezione dalla tortura e da trattamenti inumani, la libertà dalla schiavitù e dalla tratta di essere umani, il divieto di punizioni collettive, il principio della responsabilità personale nel perseguimento penale, come pure il principio dell'esclusione del respingimento (DTF 133 II 450 consid. 7.3; sentenza 1A.124/2001 del 28 marzo 2002, consid. 3.5). In termini più ampi, sono in parte fatte rientrare nello ius cogens la protezione da una carcerazione arbitraria e determinate garanzie procedurali connesse (cfr. Oeter, op. cit., pag. 506 e 510 seg. con riferimenti).
 
Per contro, altri diritti fondamentali, anche se d'importanza rilevante per la Svizzera, non rientrano nel diritto internazionale pubblico imperativo. Ciò è segnatamente il caso per le disposizioni genericamente invocate dal ricorrente, nella misura in cui possano essere considerate pertinenti per la fattispecie. In particolare, la garanzia della proprietà, la libertà economica, le garanzie procedurali, come il diritto di essere sentito, il diritto a un processo equo (art. 6 n. 1 CEDU, art. 14 cpv. 1 Patto ONU II) e il diritto a un ricorso effettivo (art. 13 CEDU e art. 2 cpv. 3 Patto ONU II), non fanno parte del nucleo intangibile delle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo (art. 15 cpv. 2 CEDU, art. 4 cpv. 2 Patto ONU II) e non appartengono quindi di principio allo ius cogens (cfr. DTF 133 II 450 consid. 7.3 pag. 462 con numerosi riferimenti).
 
7.4 Segnatamente nel campo delle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza secondo il capitolo VII dello Statuto, non è ravvisabile un consenso degli Stati a riconoscere garanzie procedurali imperative a favore degli individui.
 
Queste sanzioni comportano restrizioni economiche incisive per gli interessati, ma, poiché i mezzi necessari al loro mantenimento ne sono esclusi (cfr. risoluzione 1452 [2002], n. 1a), non implicano né una messa in pericolo della vita o della salute, né un trattamento inumano o degradante. Certo, il divieto di transito limita la libertà di movimento, ma non costituisce una privazione della libertà personale: essi possono infatti spostarsi liberamente nello Stato di residenza (cfr. comunque, riguardo alla situazione particolare del ricorrente, il consid. 10.2) e l'entrata nel proprio Stato di nazionalità è esplicitamente ammessa (cfr. risoluzione 1735 [2006], n. 1b).
 
Tradizionalmente le sanzioni del Consiglio di sicurezza sono pronunciate senza che agli individui sia concessa la possibilità di esprimersi preventivamente o successivamente o di interporre ricorso dinanzi ad istanze internazionali o nazionali. L'introduzione di una procedura di delisting e i miglioramenti adottati nel 2006 (possibilità degli individui di rivolgersi direttamente al Comitato delle sanzioni, precisazione dei criteri per l'inserimento e lo stralcio dalla lista, introduzione di esigenze di motivazione per le proposte di inserimento nell'elenco, obbligo degli Stati membri di notificazione degli interessati) costituiscono già un progresso rilevante rispetto alla situazione preesistente. Anche se il sistema presenta ancora carenze sotto il profilo dei diritti fondamentali, non è comunque realizzata una violazione dello ius cogens (cfr. DTF 133 II 450 consid. 7.4 con riferimento al rapporto dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani del 9 marzo 2007, Protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo [A/HRC/4/88], n. 25 segg.; rapporto del relatore speciale ONU Martin Scheinin del 16 agosto 2006, Protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo [A/61/267], n. 30 segg.).
 
8.
 
Ritenuto che alla luce di quanto esposto la Svizzera è vincolata alle risoluzioni sulle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza, occorre esaminare la portata del vincolo e l'esistenza o meno di un margine di apprezzamento.
 
8.1 Il Tribunale federale ha avuto modo di rilevare nella citata causa connessa 1A.45/2007 che il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1267 (1999) e le risoluzioni successive sulle sanzioni nei confronti di Al-Qaïda e dei Taliban sulla base del capitolo VII dello Statuto ONU, con l'obbligo esplicito per tutti gli Stati membri di eseguire in modo integrale e rigoroso le sanzioni previste, indipendentemente dall'esistenza di obblighi o diritti contrattuali precedenti (cfr. risoluzione 1267 [1999], n. 7). Le sanzioni (blocco di valori patrimoniali, divieto di entrata e di transito, embargo di armamenti) sono elencate in modo dettagliato e non lasciano agli Stati membri alcun margine di apprezzamento nell'attuazione. Pure i destinatari delle misure sono imposti agli Stati membri, essendo determinante la lista tenuta ed aggiornata dal Comitato delle sanzioni (cfr. risoluzione 1333 [2000], n. 8 lett. c). Per lo stralcio dalla lista è prevista una specifica procedura di delisting di competenza del Comitato delle sanzioni (cfr. risoluzione 1735 [2006], n. 13 segg. e le direttive del Comitato delle sanzioni nella versione del 12 febbraio 2007). Agli Stati membri è di conseguenza impedito decidere autonomamente sul mantenimento delle sanzioni nei confronti di una persona o di un'organizzazione inserite nella lista del Comitato delle sanzioni. Se la Svizzera dovesse stralciare il ricorrente dall'allegato dell'ordinanza sui Taliban, violerebbe i suoi obblighi derivanti dallo Statuto delle Nazioni Unite (DTF 133 II 450 consid. 8.1).
 
8.2 Si giungerebbe a questa conclusione anche se, come prospetta il ricorrente, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dovessero essere direttamente applicabili. Infatti, le sanzioni nei confronti del ricorrente permarrebbero nonostante lo stralcio dall'allegato, ma la loro cancellazione ne aggraverebbe l'attuazione, siccome autorità, banche e altre istituzioni incaricate dell'attuazione delle sanzioni potrebbero ritenere a torto che il ricorrente sia stralciato anche dalla lista del Comitato delle sanzioni e non sia quindi più destinatario delle stesse. Proprio questo sarebbe però in contrasto con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza applicabili (cfr. risoluzione 1735 [2006], n. 22).
 
D'altra parte, non risulta evidente un interesse del ricorrente al postulato stralcio se le sanzioni nei suoi confronti dovessero comunque essere mantenute direttamente sulla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e della lista del Comitato delle sanzioni (DTF 133 II 450 consid. 8.2).
 
8.3 In tali circostanze, la Svizzera non può stralciare autonomamente il ricorrente dall'allegato 2 dell'ordinanza sui Taliban. Questa conclusione, stabilita dal Tribunale federale nel giudizio del 14 novembre 2007 concernente la causa connessa 1A.45/2007, deve essere confermata in questa sede. Le considerazioni esposte dalla dottrina riguardo a tale giudizio (cfr. Stephanie Eymann, in: AJP 2/2008, pag. 244 segg., in particolare pag. 247 segg.) e le sentenze del Tribunale di primo grado delle Comunità europee prodotte dal ricorrente non giustificano infatti una diversa decisione nella fattispecie. Tali sentenze non riguardano peraltro il carattere vincolante delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza (cfr. sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee dell'11 luglio 2007, causa T-47/03, Sison contro Consiglio, n. 147 segg.; rapporto 16 novembre 2007 della Commissione degli affari giuridici e dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa, n. 59-63).
 
Occorre invero riconoscere che in questa situazione non è data alcuna possibilità effettiva di ricorso poiché il Tribunale federale può solo esaminare se e in che misura la Svizzera è vincolata alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ma non è autorizzata ad annullare le sanzioni nei confronti del ricorrente per violazione dei diritti fondamentali. Nella citata causa connessa, il Tribunale federale ha quindi concluso che la competenza per lo stralcio dalla lista spetta esclusivamente al Comitato delle sanzioni. Ha altresì rilevato, richiamando sia i citati rapporti dell'ONU (cfr. consid. 7.4) sia la dottrina, sia un parere elaborato su mandato della Svizzera, della Germania e della Svezia, che, nonostante i miglioramenti introdotti, la procedura di delisting non rispetta ancora le esigenze di protezione giudiziaria richieste dagli art. 29a Cost., 6 n. 1 CEDU e 14 cpv. 1 Patto ONU II e quelle del diritto a un ricorso effettivo ai sensi degli art. 13 CEDU e 2 cpv. 3 Patto ONU II (DTF 133 II 450 consid. 8.3 e riferimenti; cfr. inoltre la risoluzione 1597 [2008] dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e la relativa raccomandazione 1824 [2008] in relazione con il rapporto 16 novembre 2007 e l'addendum 22 gennaio 2008 della Commissione degli affari giuridici e dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa).
 
Questa situazione può essere corretta solamente attraverso un sistema di controllo efficace a livello delle Nazioni Unite, obiettivo peraltro perseguito attivamente anche dal Consiglio federale e dalla rappresentanza svizzera presso l'ONU (cfr. risposta del Consiglio federale del 23 novembre 2005 all'interpellanza del Consigliere agli Stati Dick Marty del 7 ottobre 2005, n. 5 e 7; dichiarazione del 30 maggio 2006 del rappresentante permanente della Svizzera presso le Nazioni Unite a nome di Germania, Svezia e Svizzera, Menaces à la paix et à la sécurité internationales causées par des actes terroristes).
 
9.
 
Nelle esposte circostanze, come rilevato dal Tribunale federale nella più volte citata causa connessa, si pone nondimeno la questione di sapere se la Svizzera debba perlomeno sostenere il ricorrente nell'ambito della procedura di delisting.
 
9.1 Il quesito, esaminato dalle precedenti istanze, relativo alla facoltà da parte della Svizzera di avviare una procedura di delisting a nome del ricorrente, dopo le intervenute modifiche procedurali che gli consentono ora di presentare direttamente la sua richiesta al Comitato delle sanzioni, non riveste infatti più un interesse attuale (cfr. DTF 133 II 450 consid. 9.1; risoluzione 1730 [2006] e le direttive del Comitato delle sanzioni nella versione del 12 febbraio 2007).
 
9.2 Affinché un'eventuale richiesta possa avere esito favorevole, il ricorrente dipende tuttavia dal sostegno della Svizzera, quale Stato che ha svolto accertamenti approfonditi sulla sua situazione, assumendo numerose prove e avviando molteplici domande di assistenza internazionale.
 
Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono obbligati a perseguire penalmente le persone sospettate di finanziare o di sostenere il terrorismo (cfr. risoluzione 1373 [2001], n. 2e). Tra queste persone figurano in particolare quelle iscritte nella lista del Comitato delle sanzioni. Nei procedimenti penali nazionali un sospetto iniziale, fondato di regola su rapporti dei servizi segreti, può essere esaminato nel contesto di una procedura istruttoria ordinaria, così da poter chiarire la situazione dell'interessato. Nel caso di una condanna le sanzioni penali (pena detentiva, confisca) sostituiscono poi le sanzioni preventive (divieto di entrata, blocco dei conti). Se il procedimento penale sfocia in un proscioglimento o in un non luogo a procedere, le sanzioni ordinate a titolo preventivo dovrebbero di conseguenza essere revocate. Lo Stato che ha eseguito il procedimento penale non può, come visto, procedere autonomamente a questo stralcio, ma può perlomeno comunicare al Comitato delle sanzioni il risultato dei propri accertamenti e domandare, rispettivamente sostenere, la cancellazione dell'interessato dalla lista (DTF 133 II 450 consid. 9.2).
 
10.
 
Nella citata causa connessa 1A.45/2007, il Tribunale federale ha infine esaminato se il divieto di entrata in Svizzera e di transito, previsto dall'art. 4a dell'ordinanza sui Taliban, ecceda la portata delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, così che le autorità elvetiche beneficerebbero in quest'ambito di un margine di manovra.
 
10.1 L'art. 4a cpv. 1 dell'ordinanza sui Taliban vieta alle persone fisiche menzionate nell'allegato 2 l'entrata in Svizzera e il transito attraverso la Svizzera. L'art. 4a cpv. 2 di detta ordinanza prevede che l'Ufficio federale della migrazione possa, in conformità con le decisioni del Consiglio di sicurezza o per tutelare interessi svizzeri, accordare deroghe.
 
Secondo le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, tale divieto è inapplicabile quando l'entrata o il transito siano necessari ai fini di un procedimento giudiziario. Inoltre, eccezioni possono essere concesse nel singolo caso con il consenso del Comitato delle sanzioni (cfr. risoluzione 1735 [2006], n. 1 lett. b). Entrano segnatamente in considerazione trasferimenti per motivi medici, umanitari o religiosi (DTF 133 II 450 consid. 10.1 e riferimento).
 
10.2 L'art. 4a cpv. 2 dell'ordinanza sui Taliban è formulato quale disposizione potestativa e suscita l'impressione che all'Ufficio federale della migrazione spetti un potere di apprezzamento. La norma deve tuttavia essere interpretata in modo conforme alla Costituzione, nel senso che un'eccezione deve essere concessa in tutti i casi in cui il regime sulle sanzioni ONU lo permette. Una limitazione più restrittiva della libertà di movimento del ricorrente non potrebbe infatti fondarsi sulle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, non sarebbe sorretta dall'interesse pubblico e, in considerazione della situazione particolare del ricorrente, nemmeno proporzionata. Questi abita infatti a Campione, un'enclave italiana nel Cantone Ticino con una superficie di soli 1,6 km2. Il divieto di entrata e di transito gli impedisce in sostanza di lasciare Campione, comportando effetti analoghi agli arresti domiciliari e limitando di conseguenza gravemente la sua libertà personale. In questa evenienza, le autorità svizzere sono pertanto tenute ad esaurire tutte le possibili facilitazioni previste dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. L'Ufficio federale della migrazione non ha quindi alcun margine di apprezzamento, ma deve esaminare se siano date le condizioni per concedere un'eccezione. Se la richiesta non ricade sotto un'eccezione generale prevista dal Consiglio di sicurezza, deve essere sottoposta per approvazione al Comitato delle sanzioni (DTF 133 II 450 consid. 10.2; cfr. inoltre, sulla particolare situazione di Campione, sentenza 2C_375/2007 dell'8 novembre 2007, consid. 4.3).
 
10.3 La questione di sapere se l'Ufficio federale della migrazione abbia eventualmente disatteso queste esigenze nella concessione di autorizzazioni per il transito non è oggetto della presente causa e non deve essere esaminata in questa sede. Né occorre qui esaminare se, dandosene il caso, debba essere eventualmente reso possibile il trasferimento del domicilio del ricorrente dall'enclave di Campione verso l'Italia (DTF 133 II 450 consid. 10.3).
 
11.
 
Ne segue che il ricorso di diritto amministrativo deve essere respinto nella misura della sua ammissibilità. Viste le particolarità della fattispecie si giustifica di non prelevare spese giudiziarie (DTF 133 II 450 consid. 11).
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
 
1.
 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso di diritto amministrativo è respinto.
 
2.
 
Non si prelevano spese giudiziarie.
 
3.
 
Non si assegnano ripetibili.
 
4.
 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, alla Segreteria di Stato dell'economia, al Dipartimento federale dell'economia, all'Ufficio federale di giustizia e al Consiglio federale svizzero.
 
Losanna, 22 aprile 2008
 
In nome della I Corte di diritto pubblico
 
del Tribunale federale svizzero
 
Il presidente: Il cancelliere:
 
Féraud Gadoni
 
© 1994-2020 Das Fallrecht (DFR).