Abruf und Rang:
RTF-Version (SeitenLinien), Druckversion (Seiten)
Rang: 

Zitiert durch:


Zitiert selbst:


Bearbeitung, zuletzt am 04.08.2022, durch: DFR-Server (automatisch)
 
BGer 4A_447/2021 vom 08.02.2022
 
Tribunal fédéral
 
Tribunale federale
 
Tribunal federal
 
[img]
 
 
4A_447/2021
 
 
Sentenza dell'8 febbraio 2022
 
 
I Corte di diritto civile
 
Composizione
 
Giudici federali Hohl, Presidente,
 
May Canellas, Pontarolo, Giudice supplente,
 
Cancelliere Piatti.
 
 
Partecipanti al procedimento
 
A.________,
 
ricorrente,
 
contro
 
B.________,
 
patrocinata dall'avv. Micaela Antonini Luvini,
 
opponente.
 
Oggetto
 
licenziamento immediato,
 
ricorso contro la sentenza emanata il 20 luglio 2021
 
dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del
 
Cantone Ticino (12.2021.23).
 
 
Fatti:
 
 
A.
 
A.a. Il 1° marzo 2019 l'associazione A.________ e B.________, cittadina italiana domiciliata a Lugano, hanno concluso un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con cui quest'ultima si è impegnata a lavorare quale rappresentante legale nei Centri federali d'asilo, con un grado di occupazione del 60 % e un salario mensile lordo per tredici mensilità di fr. 3'960.-- ciascuna.
A.b. A fine maggio del 2020 la lavoratrice ha notificato alla competente autorità la sua partenza dalla Svizzera per l'Italia con effetto al 31 maggio 2020. Il 2 giugno 2020 ha comunicato ciò al direttore di A.________, precisando di essere in malattia dal 2 giugno al 14 giugno 2020 (assenza poi prolungata dal 15 al 28 giugno 2020). Il 9 giugno 2020 l'interessata ha proposto al suo datore di lavoro di firmare e inviare all'autorità competente un'istanza per l'ottenimento di un nuovo permesso per frontalieri G, da lei già compilata. Il datore di lavoro, però, non l'ha spedita e con lettera del 15 giugno 2020 ha disdetto il contratto con effetto immediato e retroattivo al 1° giugno 2020, poiché l'annuncio della partenza definitiva per Lavena Ponte Tresa le impediva di lavorare in Svizzera, e poiché la proposta di continuare a operare con un nuovo permesso per frontalieri era "particolarmente problematica", giacché l'attività di A.________ dipendeva per lo più da mandati pubblici conclusi con Cantone e Confederazione, "ciò che rende sensibile la tematica dell'eventuale assunzione di personale non residente in Svizzera".
B.
Raccolta la necessaria autorizzazione ad agire, con petizione del 19 ottobre 2020 B.________ ha convenuto la predetta associazione davanti alla Pretura della giurisdizione di Mendrisio Sud per ottenerne la condanna al pagamento di fr. 23'755.70 per salari non percepiti (compresa la tredicesima) dal 1° giugno al 30 settembre 2020 (fr. 17'276.60) e per indennità per licenziamento in tronco ingiustificato (fr. 6'479.10) oltre interessi dal 30 giugno 2020. La convenuta ha proposto il rigetto della petizione.
Con sentenza del 18 gennaio 2021 il Pretore aggiunto ha parzialmente accolto la petizione e ha condannato l'associazione a pagare all'attrice fr. 2'431.-- lordi oltre interessi (pari al salario maturato tra il 1° e il 17 giugno 2020).
C.
Con appello dell'8 febbraio 2021 l'attrice ha chiesto la riforma del giudizio impugnato nel senso di accogliere integralmente la petizione. L'11 maggio 2021 la convenuta ha proposto di respingerlo.
Statuendo il 20 luglio 2021 la II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino ha accolto l'appello e, in parziale riforma del giudizio impugnato, ha condannato la convenuta a pagare all'attrice fr. 23'755.70 oltre interessi. In sintesi essa ha riconosciuto che la notifica della partenza dalla Svizzera annunciata a fine maggio 2020 aveva comportato la decadenza del permesso di domicilio C in favore dell'attrice. La lavoratrice, ha soggiunto, aveva però invitato il suo datore di lavoro a introdurre un'istanza per l'ottenimento del permesso per frontalieri G. Ciò posto, il rifiuto di costui di inviarla all'autorità competente, per compiacere non meglio precisate autorità cantonali o federali asseritamente sensibili alla "tematica dell'eventuale assunzione di personale non residente in Svizzera", era ingiustificato e per finire la Corte cantonale ha accordato all'attrice fr. 17'276.60 per salari maturati dal 1° giugno al 30 settembre 2020 e un'indennità di fr. 6'479.10 (pari a un salario e mezzo) giusta l'art. 337c cpv. 3 CO, oltre interessi.
D.
Con ricorso in materia civile del 13 settembre 2021 l'associazione A.________ chiede di annullare il giudizio impugnato e di dare atto della correttezza del licenziamento con effetto immediato.
Il 20 ottobre 2021 B.________ ha proposto il rigetto del gravame, mentre l'autorità cantonale ha rinunciato a presentare osservazioni.
 
 
Erwägung 1
 
1.1. Il ricorso in materia civile è presentato tempestivamente (combinati art. 46 cpv. 1 lett. b e 100 cpv. 1 LTF) dalla parte soccombente nella procedura cantonale (art. 76 cpv. 1 lett. a LTF) ed è volto contro una sentenza finale (art. 90 LTF) emanata su ricorso dall'autorità ticinese di ultima istanza (art. 75 LTF) in una causa civile in materia di diritto del lavoro (art. 72 cpv. 1 LTF). Il valore litigioso supera altresì la soglia di CHF 15'000.-- prevista dall'art. 74 cpv. 1 lett. a LTF. Sotto questo profilo il ricorso è ricevibile.
1.2. L'allegato ricorsuale deve contenere, fra l'altro, delle conclusioni (art. 42 cpv. 1 LTF). Poiché il ricorso in materia civile è un rimedio di carattere riformatorio (art. 107 cpv. 2 LTF), il ricorrente non può limitarsi a chiedere l'annullamento della decisione impugnata e il rinvio della causa all'istanza cantonale: deve, al contrario, formulare conclusioni riformatorie, pena l'inammissibilità del suo gravame. Quando l'azione tende al pagamento di una somma di denaro, le conclusioni della parte ricorrente devono tassativamente essere cifrate, altrimenti il ricorso è inammissibile (DTF 143 III 111 consid. 1.2; 134 III 235 consid. 2). Tale condizione è soddisfatta se le conclusioni, lette nell'ottica della motivazione e nel rispetto del principio della buona fede, permettono una determinazione precisa dell'importo richiesto, seppure questo non sia esposto in modo esplicito (DTF 137 II 313 consid. 1.3; 136 V 131 consid. 1.2). Secondo l'art. 99 cpv. 2 LTF, dinanzi al Tribunale federale non sono ammissibili nuove conclusioni. Non è quindi possibile chiedere di più o una cosa diversa rispetto a quanto figura nelle conclusioni formulate dinanzi all'istanza precedente. È per contro lecito ridurre le proprie conclusioni (sentenza 2C_482/2020 del 28 settembre 2021 consid. 1.4.2; DTF 141 II 91 consid. 1.2; sentenze 5A_97/2017 del 23 agosto 2017 consid. 3.3.1; 5A_329/2016 del 6 dicembre 2016 consid. 2.3).
Nella fattispecie la ricorrente postula l'annullamento della decisione impugnata, chiedendo nel contempo di dare atto che il licenziamento in tronco del 15 giugno 2020 era giustificato. La ricorrente non pretende di aver già chiesto alla Corte cantonale di constatare la liceità del licenziamento e formula così una domanda nuova, che è inammissibile. Per il resto, la mera richiesta di annullamento del giudizio impugnato sarebbe di per sé insufficiente. Dalla motivazione del ricorso, però, si comprende che l'insorgente chiede di riformare la sentenza impugnata nel senso di confermare il verdetto del Pretore. Al riguardo, dunque, il gravame è ricevibile.
 
Erwägung 2
 
2.1. Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto federale (art. 106 cpv. 1 LTF). Tuttavia, tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione imposto dall'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, di regola considera solo gli argomenti proposti nell'atto di ricorso, fatti salvi i casi di errori giuridici manifesti (DTF 140 III 86 consid. 2). Giusta l'art. 42 cpv. 2 LTF nei motivi del ricorso occorre spiegare in modo conciso perché l'atto impugnato viola il diritto. Un ricorso non sufficientemente motivato è inammissibile (DTF 143 II 283 consid. 1.2.2; 142 III 364 consid. 2.4). Per soddisfare le esigenze di motivazione, il ricorrente deve confrontarsi con l'argomentazione della sentenza impugnata e spiegare in cosa consista la violazione del diritto. Egli non può limitarsi a ribadire le posizioni giuridiche assunte durante la procedura cantonale, ma deve criticare i considerandi del giudizio attaccato che ritiene lesivi del diritto (sentenza 4A_273/2012 del 30 ottobre 2012 consid. 2.1, non pubblicato in DTF 138 III 620).
2.2. Il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sugli accertamenti di fatto svolti dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF), che sono vincolanti. A questi appartengono sia le constatazioni concernenti le circostanze relative all'oggetto del litigio sia quelle riguardanti lo svolgimento della procedura innanzi all'autorità inferiore e in prima istanza, vale a dire gli accertamenti che attengono ai fatti procedurali (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1 con riferimenti). Il Tribunale federale può unicamente rettificare o completare l'accertamento dei fatti dell'autorità inferiore, se esso è manifestamente inesatto o risulta da una violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF (art. 105 cpv. 2 LTF). "Manifestamente inesatto" significa in questo ambito "arbitrario" (DTF 140 III 115 consid. 2; 135 III 397 consid. 1.5). La parte che critica la fattispecie accertata nella sentenza impugnata deve sollevare la censura e motivarla in modo preciso, come esige l'art. 106 cpv. 2 LTF (DTF 140 III 264 consid. 2.3, con rinvii). Essa deve spiegare in maniera chiara e circostanziata in che modo queste condizioni sarebbero soddisfatte (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1, con rinvii). Se vuole completare la fattispecie deve dimostrare, con precisi rinvii agli atti della causa, di aver già presentato alle istanze inferiori, rispettando le regole della procedura, i relativi fatti giuridicamente pertinenti e le prove adeguate (DTF 140 III 86 consid. 2). Se la critica non soddisfa queste esigenze, le allegazioni relative a una fattispecie che si scosta da quella accertata non possono essere prese in considerazione (DTF 140 III 16 consid. 1.3.1). L'eliminazione del vizio deve inoltre poter essere determinante per l'esito del procedimento (art. 97 cpv. 1 LTF).
3.
La ricorrente esordisce con una sua narrazione dei fatti. Allude al contratto del 1° marzo 2019, al tipo di permesso di soggiorno di cui la lavoratrice beneficiava a quell'epoca, ai compiti di quest'ultima e alla sua consapevolezza di essere una dipendente indigena. Si sofferma poi sull'incontro del 2 giugno 2020 tra l'opponente e il suo direttore, quando ella gli avrebbe riferito della sua partenza per l'Italia. Il comitato dell'associazione, prosegue, si sarebbe riunito l'8 giugno 2020 per discutere pure della posizione di tale impiegata e solo il 9 giugno 2020, quando la collaboratrice avrebbe inviato al direttore il formulario per la richiesta del permesso per frontalieri, avrebbe saputo della notifica della sua partenza definitiva all'estero. La ricorrente termina il suo esposto con una sua sintesi dei fatti processuali.
La libera esposizione dei fatti proposta dall'insorgente senza il benché minimo confronto con la sentenza impugnata non adempie le suddette esigenze di motivazione (sopra, consid. 2.2). L'impugnativa, su questo punto, è perciò inammissibile.
 
Erwägung 4
 
4.1. Giusta l'art. 319 cpv. 1 CO il contratto individuale di lavoro è quello con il quale il lavoratore si obbliga a lavorare al servizio del datore di lavoro per un tempo determinato o indeterminato e il datore di lavoro a pagare un salario stabilito a tempo o a cottimo. È considerato contratto individuale di lavoro anche il contratto con il quale un lavoratore si obbliga a lavorare regolarmente al servizio del datore di lavoro per ore, mezze giornate o giornate (lavoro a tempo parziale; art. 319 cpv. 2 CO).
L'art. 337 CO abilita il datore di lavoro e il lavoratore a recedere in ogni tempo e immediatamente dal rapporto di lavoro per cause gravi (cpv. 1). È considerata causa grave, in particolare, ogni circostanza che non permetta per ragioni di buona fede di esigere da chi dà la disdetta che abbia a continuare nel contratto (cpv. 2). Sull'esistenza di tali cause, il giudice decide secondo il suo libero apprezzamento, ma in nessun caso può riconoscere come causa grave il fatto che il lavoratore sia stato impedito senza sua colpa di lavorare (cpv. 3).
4.1.1. Un contratto di lavoro sottoscritto da un lavoratore straniero è di principio valido anche senza l'autorizzazione richiesta dal diritto pubblico a causa della nazionalità straniera del lavoratore. La mancanza di tale autorizzazione, infatti, non porta di per sé alla nullità del contratto di lavoro (DTF 122 III 110 consid. 4e pag. 116; 114 II 279 consid. 2d; sentenze 4C.61/2006 del 24 maggio 2006 consid. 3.2.1; 4C.27/2004 del 24 marzo 2004 consid. 3.2.1). La validità del contratto per quanto riguarda la sua conclusione e il suo contenuto non significa però che esso debba continuare ad avere effetto malgrado la mancanza dell'autorizzazione richiesta dal diritto pubblico. A parte i casi in cui il rilascio di simile autorizzazione costituisce una condizione sospensiva - spesso implicita - il cui verificarsi determina gli effetti del contratto, il rifiuto dell'autorizzazione può permettere a una delle parti di risolvere il contratto con effetto immediato secondo l'art. 337 CO, essendo il giudice libero di valutare le conseguenze pecuniarie della risoluzione tenendo conto delle circostanze di tale rifiuto (art. 337b CO; DTF 114 II 279 consid. 2d/cc pag. 284 con riferimenti; sentenza 4C.306/2000 del 14 dicembre 2000 consid. 2b).
La stessa costruzione giuridica è stata adottata in un caso di rifiuto di prorogare un permesso di lavoro (sentenze 4C.235/1996 del 23 settembre 1996 consid. 1c/bb, riprodotto in RVJ 1997 pag. 189 seg.; 4C.306/2000 del 14 dicembre 2000 consid. 2b).
4.1.2. Il Tribunale federale ha pure stabilito che il datore di lavoro deve assicurarsi che il suo dipendente straniero abbia l'autorizzazione necessaria e a tal fine egli deve fare tutto quanto indispensabile presso le autorità competenti (DTF 114 II 279 consid. 2d/bb pag. 283; sentenza 4C.306/2000 del 14 dicembre 2000 consid. 2d). L'intervento presso l'autorità per ottenere un permesso di lavoro per gli stranieri configura un particolare atto preparatorio che incombe al datore di lavoro e la cui omissione lo pone in mora (art. 324 CO; DTF 114 II 279 consid. 2d/bb pag. 283; sentenza 4C.235/1996 del 23 settembre 1996 consid. 2c; WYLER/HEINZER, Droit du travail, 4a ed. 2019, pag. 266; STREIFF/VON KAENEL/RUDOLPH, Arbeitsvertrag, 7a ed. 2012, n. 3 ad art. 324 CO).
 
Erwägung 4.2
 
4.2.1. Secondo la Corte cantonale la notifica della partenza dalla Svizzera annunciata dalla lavoratrice a fine maggio 2020 aveva comportato la decadenza del suo permesso di domicilio C e a quel momento un licenziamento con effetto immediato dell'impiegata sarebbe stato di per sé legittimo. L'interessata, essa ha proseguito, aveva tuttavia proposto al datore di lavoro d'inoltrare un'istanza per l'ottenimento del permesso per frontalieri G e il rifiuto di quest'ultimo, per compiacere non meglio precisate autorità cantonali o federali "sensibili" alla "tematica dell'eventuale assunzione di personale non residente in Svizzera", non era giustificato. Del resto, il datore di lavoro ha verso un lavoratore straniero l'obbligo di assolvere tutte le pratiche amministrative necessarie per assicurare la continuità dei rapporti contrattuali, e, se egli non osserva tale dovere e licenzia con effetto immediato un lavoratore, il provvedimento è da ritenersi ingiustificato (PHILIPPE CARRUZZO, Le contrat individuel de travail, 2009, n. 18 ad art. 320 CO). Stante l'esistenza tra le parti di un valido contratto e a fronte della richiesta della lavoratrice, assente dal lavoro per malattia, di presentare un'istanza per ottenere un permesso per frontalieri e di continuare la sua attività in virtù di una simile autorizzazione, la convenuta avrebbe dovuto dar seguito a quella domanda, che con ogni evidenza sarebbe stata accolta.
4.2.2. Per i giudici di appello non si poteva nemmeno rimproverare al datore di lavoro un comportamento lesivo della legislazione in materia di stranieri. Né vi era spazio per ammettere un'impossibilità di assumere lavoratori stranieri con un permesso per frontalieri dal solo fatto, peraltro mai comunicato in precedenza alla lavoratrice e dunque a lei nemmeno opponibile, che la convenuta avesse a suo tempo confermato alla Segreteria di Stato della migrazione di aver inoltrato "allenfalls erforderliche aufenthaltsrechtliche Bewilligungen" per i rappresentanti legali nei Centri federali d'asilo da lei assunti. Non si trattava, in ultima analisi, di impiegare un dipendente non residente in Svizzera, ma di continuare il rapporto di lavoro con una lavoratrice da tempo operativa e residente in Ticino, che si era trasferita all'estero.
 
Erwägung 4.3
 
4.3.1. La ricorrente afferma anzitutto che in concreto non si sarebbe trattato di "dare continuità a un rapporto contrattuale in essere, quanto piuttosto di costituirne uno nuovo", perché la lavoratrice avrebbe proposto di continuare il rapporto di collaborazione come frontaliera, modificando così il contratto di lavoro. Ora, la lamentata modifica contrattuale avrebbe presupposto che le parti avessero stipulato l'obbligo della lavoratrice di risiedere in Svizzera, circostanza che non emerge dalla sentenza impugnata. Sennonché la ricorrente nemmeno pretende - con un'argomentazione conforme ai predetti requisiti di motivazione (sopra, consid. 2.2) - che la Corte cantonale abbia in proposito effettuato un accertamento dei fatti manifestamente inesatto o risultante da una violazione del diritto nel senso dell'art. 95 LTF. Ne segue che la censura si rivela inammissibile, perché basata su fatti non constatati dai Giudici d'appello senza che siano dati i presupposti che permettono al Tribunale federale di dipartirsene.
4.3.2. La ricorrente evidenzia i rischi in cui incorrerebbe in caso di impiego di un dipendente senza il permesso di soggiorno e fa riferimento ai "mandati cantonali e federali con conseguente rischio di danno per gli utenti e gli altri dipendenti", come risulterebbe da una dichiarazione firmata da lei e da C.________. Così argomentando, tuttavia, essa non si confronta con la motivazione della Corte cantonale, secondo cui "dal solo fatto, per altro mai comunicato in precedenza all'attrice e dunque a lei nemmeno opponibile, che la convenuta avesse a suo tempo confermato alla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) di aver inoltrato '
4.4. Secondo la ricorrente la Corte di appello non avrebbe potuto tutelare l'agire della lavoratrice che aveva dapprima notificato la sua partenza per l'estero e solo in un secondo momento aveva informato di ciò il datore di lavoro, violando così il suo dovere di diligenza e di fedeltà. Il diritto di licenziare in tronco un dipendente sprovvisto di un permesso di soggiorno valido - prosegue - dovrebbe prevalere sul dovere del datore di lavoro di sbrigare, nell'interesse di un lavoratore straniero, le pratiche amministrative necessarie per assicurare la continuazione dei rapporti contrattuali.
4.4.1. In concreto, è vero, l'opponente ha chiesto alla ricorrente di assolvere quanto necessario con l'autorità degli stranieri per assicurare la continuità dei rapporti contrattuali, dopo aver notificato all'autorità degli stranieri la partenza per l'estero ed essersi accasata in Italia. Tuttavia, la mancata comunicazione del trasferimento all'estero da parte della lavoratrice al suo datore di lavoro, prima della notifica all'autorità competente, non legittimava ancora quest'ultimo a licenziarla con effetto immediato. Per prima cosa, la ricorrente medesima ammette nel proprio gravame che l'opponente aveva discusso della sua situazione familiare e del trasferimento all'estero con il suo direttore subito dopo la scadenza dell'autorizzazione, ossia il 2 giugno 2020, avvertendolo della sua intenzione di inoltrare una domanda per l'ottenimento di un permesso per frontaliere, ciò che ha fatto l'8 giugno successivo. La ricorrente sapeva perciò che l'agire della sua collaboratrice dipendeva da difficoltà personali e familiari e che era in malattia. Secondariamente, l'impiegata era attiva per la ricorrente da più di un anno senza aver mai dato adito a lamentele (sentenza impugnata pag. 7, consid. 8) in base a un contratto che non prevedeva prescrizioni sul domicilio. In terzo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, in concreto l'agire della lavoratrice non ha comportato una modifica del contratto (cfr. sopra, consid. 4.3.1), né ha limitato la libertà di contrarre del datore di lavoro, che avrebbe potuto porre fine al rapporto contrattuale nei modi e termini ordinari previsti dal contratto.
In circostanze del genere non sono riunite le premesse per imputare alla lavoratrice, che ha informato nei modi e tempi appena indicati il suo padrone del suo trasferimento all'estero, una violazione dell'obbligo di fedeltà e di diligenza tale da incrinare in modo insanabile il rapporto di fiducia tra le parti e da giustificare un licenziamento in tronco. Stante l'esistenza di un valido contratto di lavoro e confrontato con la richiesta della dipendente di introdurre un'istanza - già compilata - per l'ottenimento di un permesso per frontaliere, il datore di lavoro doveva evadere nell'interesse di costei quelle pratiche amministrative indispensabili alla continuazione del rapporto d'impiego, trovandosi altrimenti in mora (cfr. sopra, consid. 4.1.2). A maggior ragione in concreto ove non sussistevano validi motivi per opporsi a simili atti preparatori e la ricorrente non aveva avvertito l'opponente di ciò che aveva confermato alla Segreteria di Stato della migrazione in materia di permessi di lavoro (cfr. sopra, consid. 4.3.2).
4.4.2. Nella fattispecie, infine, non può neanche essere discorso di un abbandono del posto di lavoro (cfr. art. 337d CO) : il cambiamento del domicilio da parte di un lavoratore non ha nulla a che vedere con l'abbandono del posto di lavoro, che la ricorrente non ha nemmeno dimostrato. Del resto, quando il datore di lavoro si trova in mora, un abbandono del posto di lavoro non entra in linea di conto.
4.5. La ricorrente fa valere che il 2 giugno 2020 il permesso di domicilio era già decaduto in virtù dell'art. 61 cpv. 1 lett. a LStrI, e che essa non avrebbe dunque più potuto impiegare l'opponente, a meno di non correre il rischio di infrangere l'art. 117 LStrI, e questo anche solo mediante un'omissione (cfr. sentenza del Tribunale federale 6B_583/2020 del 1° ottobre 2020 consid. 1.2).
Ora, che un impiego dell'opponente priva di valido permesso di domicilio potesse coinvolgere una responsabilità penale del datore di lavoro, è possibile. In concreto, però, l'opponente non aveva lavorato dopo il 31 maggio 2020. Il 1° giugno 2020, infatti, era lunedì di Pentecoste, un giorno festivo (cfr. art. 1 della Legge concernente i giorni festivi ufficiali nel Cantone Ticino del 15 dicembre 2009, R.L. 843.200; cfr. https://www.feiertagskalender.ch/index.php?geo=1932&jahr=2020&klasse=5&hl=it, consultato il 10 gennaio 2022), e dal 2 giugno 2020 l'interessata era in malattia, come accertato in modo vincolante dai giudici cantonali. Costei, inoltre, aveva sottoposto per la firma al suo datore di lavoro una domanda volta all'ottenimento di un permesso per frontalieri. La ricorrente non contesta che - se presentata - tale domanda sarebbe stata accolta e avrebbe consentito all'opponente di lavorare. Ciò premesso, a poco giova evidenziare che dal 1° giugno 2020 la dipendente non disponeva più di un permesso valido per lavorare in Svizzera e che l'inabilità al lavoro di quest'ultima sarebbe intervenuta solo il 2 giugno 2020. Al riguardo, pertanto, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
5.
Da quanto precede, segue che il ricorso, nella misura in cui si rivela ammissibile, si palesa infondato e come tale va respinto. Le spese giudiziarie e le ripetibili seguono la soccombenza (art. 65 cpv. 4 lett. c, 66 cpv. 1 e 68 cpv. 1 LTF).
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
 
1.
 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.
 
2.
 
Le spese giudiziarie di fr. 700.-- sono poste a carico della ricorrente.
 
3.
 
La ricorrente verserà all'opponente la somma di fr. 1'800.-- a titolo di ripetibili per la procedura innanzi al Tribunale federale.
 
4.
 
Comunicazione alle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
 
Losanna, 8 febbraio 2022
 
In nome della I Corte di diritto civile
 
del Tribunale federale svizzero
 
La Presidente: Hohl
 
Il Cancelliere: Piatti